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MAHAYOGA

Il Mahayoga è citato nel quarto canto dello Shrimad Bhagavatam[1] in riferimento a grandi asceti che adorano il divino nella forma di Vishnu. 

Il significato di maha in questo contesto si riferisce al fatto che lo Yoga è “grande" quando è destinato all'adorazione del Signore Supremo. 

Molti praticanti moderni ignorano come la disciplina dello Yoga sia strettamente collegata ad una pratica interiore per lo sviluppo della relazione con Dio, senza sapere che questo principio si riscontra anche in quei trattati dello Yoga più specifici per la pratica fisica. 

In Hatha Pradipika, ad esempio, l’autore Svatmarama considera hathakarma, piuttosto che hathayoga, la pratica di tecniche senza la componente spirituale come ricerca della relazione con il Divino. Un commentatore successivo, nella sua opera Hathatattvakaumudi, confermerà infatti che la bhakti è la componente principale del rajayoga, disciplina inseparabile dallo hatha. Anche le Upanishad[2] ci parlano del mahayoga e spiegano che la sua caratteristica è appunto quella di meditare e realizzare Parameshvara (uno degli epiteti del Divino). Nella prospettiva del mahayoga le Upanishad includono tutte le componenti dello Yoga come hatha, mantra, laya e raja.[3]. Ecco dunque che i moderni praticanti dei vari stili di Yoga potrebbero trovare nella ricerca della comunione con Dio il comune denominatore della loro disciplina,  seguendo le indicazioni della tradizione indovedica. Un modo nuovo, ed autentico al tempo stesso, per riportare lo Yoga alla sua matrice originaria, alla sua dimensione universale. Ciò potrebbe rappresentare una via di uscita costruttiva e autorevole per frenare la deriva di una segmentazione di stili sempre più lontani e diversi tra loro, i quali non fanno altro che confondere le persone sempre più disorientate da pratiche bizzarre e azzardate che vengono proposte sotto il nome di Yoga. 
Se dovessimo riassumere quanto riportano i testi antichi, potremmo concludere che il mahayoga è lo Yoga in otto fasi (ashtangayoga), che può essere applicato in una delle sue componenti e che ha per fine sempre la realizzazione del Divino Signore Supremo. Questa ultima definizione, la relazione con Dio, trova riscontro nel quattordicesimo capitolo del canto undici dello Shrimad Bhagavatam. Qui anche Yama (azioni ostacolanti) e Niyama (azioni propedeutiche), che sono i cardini basilari dello Yoga in otto fasi, vengono messe in secondo piano rispetto alla devozione, o meglio assumono il loro autentico valore se praticate nel contesto della bhakti.[4]
Ecco dunque il costruttivo contributo che la cultura può offrire ai giorni nostri a praticanti, appassionati e tutti coloro che sono attratti dallo Yoga come pratica per una virtuosa consapevolezza del corpo, delle sue energie e sopratutto del metaspazio del cuore.
Fabio Pitti

[1] A.C. SWAMI PRABHUPADA, Shrimad Bhagavatam canto 4, cap. 6, verso 33 ediz. Bhaktivedanta Book Trust, 2003
[2] Yoga Sikha Upanishad 1.5
[3] Ibid
[4] A.C. SWAMI PRABHUPADA, Shrimad Bhagavatam canto 11, cap. 14, versi da 11 a 12 ediz. Bhaktivedanta Book Trust, 2003

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